“La cosiddetta web tax non è accettabile perchè è a tutti gli effetti un’imposizione di tipo protezionistico – commenta Roberto Liscia, Presidente di Netcomm.
“Si tratta di una vera e propria toppa, frettolosa e poco efficace, a un problema più ampio e complesso, che peraltro nel corso dei prossimi mesi sarà risolto in sede europea con una regolamentazione ad hoc intesa ad armonizzare le imposizioni difformi tra stati europei. Vale la pena ricordare che se oggi la tassazione dei beni fisici e quella dei beni digitali non è coerente, questa è il frutto di regolamentazioni precedenti in cui l’elemento digitale era a gli albori e non correttamente contemplato. A breve, cioè entro il 2015, la situazione sarà sanata e armonizzata nel solco della normativa europea.
Dal punto di vista legale, sorgono dubbi sulla compatibilità della web-tax con la normativa IVA, la quale, come noto, è “armonizzata” a livello europeo; di conseguenza, l’Italia non dovrebbe assumere iniziative fiscali autonome al di fuori della cornice normativa comunitaria. Di certo, qualora la web-tax rappresentasse un’imposta parallela all’IVA, si rischierebbe di violare il divieto d’istituire ulteriori tributi sulla cifra d’affari previsto dalle direttive UE in materia.
Quindi, la mera volontà politica italiana di tassare e costringere le imprese a creare società con partita iva senza alcun costrutto, è un vero assurdo. Daremmo l’avvio a dare forma a veicoli senza alcun valore e contenuto, senza la minima possibilità di creare valore e competenze, ma strumentalmente utilizzati per fini di imposizione fiscale. Se si approvasse la web tax nella Legge di Stabilità, il nostro Paese si contraddistinguerebbe per un’iniziativa totalmente fuori dal tempo e dalla geografica che oggi prevede su questi temi una concertazione europea. La filiera che su questo settore opera e crea lavoro potrebbe trovarsi in seria difficoltà e quindi ogni esternalità positiva generata, come avviene ad esempio nell’e-commerce, potrebbe essere messa a repentaglio. Se stimiamo che in Europa nel 2012 ben 550.000 aziende sono attive nelle vendite online (e occupano 2,5 milioni di addetti!), e tecnicamente ognuna di queste potrebbe vendere nel nostro Paese, è una pura follia immaginare di imporre a tutte l’apertura di una partita iva nel nostro Paese, magari per vendere anche solo un prodotto o servizio”