Il 1°luglio in sede Ocse è stato raggiunto un primo accordo, approvato da 131 Paesi su 139 per un sistema di tassazione internazionale che possa contribuire alla creazione di un quadro armonizzato a livello globale che riduca il rischio di asimmetrie competitive e fiscali (il testo dell’accordo OCSE); il nuovo regime dovrebbe entrare in vigore nel 2023 ed è fondato su due pilastri che prevedono, rispettivamente, da un lato la riallocazione dei profitti e, dall’altro lato, una percentuale minima fissa di tassazione.

L’impostazione adottata in sede Ocse è stata condivisa anche in occasione del G20 di Venezia a presidenza italiana, svoltosi lo scorso 9-10 luglio, dove è stato raggiunto un accordo sulla proposta OCSE, con l’individuazione di regole condivise che fissano la tassazione per le grandi imprese a livello mondiale contribuendo alla creazione di un sistema più equo ed una riduzione della concorrenza fiscale (il testo dell’accordo raggiunto al G20).

In particolare, la struttura impositiva dovrebbe prevedere:

  • Riallocazione dei profitti delle grandi multinazionali: la riallocazione riguarderebbe tutte le grandi
    multinazionali indipendentemente dal settore di appartenenza, quindi non solo quelle dell’economia digitale, che
    hanno un giro d’affari superiore a 20 miliardi l’anno e redditività superiore al 10% (pertanto con utili pari ad almeno
    il 10% dei ricavi). In presenza dei requisiti indicati, verrebbe sottoposta a tassazione nei Paesi dove operano le
    multinazionali una quota tra il 20 e il 30% dei profitti oltre il margine del 10%.
  • Global minimum corporate tax rate. Il secondo pilastro della riforma interessa la gran parte delle multinazionali
    con un fatturato annuo di almeno 750 milioni, alle quali si applicherebbe una aliquota minima di almeno il 15% in
    ogni Paese dove le multinazionali operano, indipendentemente dalla sede legale.

Alcuni aspetti di rilievo della proposta

In particolare, la proposta OCSE si basa sui due pilastri descritti sopra e dovrebbe interessare le maggiori cento
multinazionali al mondo. L’aliquota al 15% implica che, qualora un Paese decida di tassare i profitti a – per esempio – il 7%, il Paese di residenza
della multinazionale potrà riscuotere il rimanente 8%, e dovrebbe contemplare le multinazionali con fatturato di almeno
€750 milioni.

Rispetto alla condivisione di una parte del gettito tra tutti i Paesi in cui una multinazionale (con fatturato globale superiore ai €20 miliardi e redditività superiore al 10%) opera, si prevede che la parte che eccede il 10% di margine operativo possa, per una quota di almeno il 20% (su cui la Francia propone il 25%), essere tassata nel Paese dove l’azienda realizza le vendite, con il suo normale prelievo sui profitti societari, qualora l’azienda vi realizzi ricavi per almeno €1 milione annuo. In caso di Paesi con economie inferiori ai €40 miliardi, la soglia scenderebbe a €250.000. L’OCSE continuerà a lavorare sui dettagli della proposta in vista della prossima riunione del G20, prevista nel mese di ottobre.

Next steps

Il quadro delineato non è che il primo, importante, passo di un iter particolarmente complesso e articolato che necessita di ulteriori sviluppi a diversi livelli, internazionali ed europei, e il prosieguo dei negoziati, a partire dal prossimo G20 di ottobre. Le decisioni che verranno assunte dovranno infatti essere adottate nelle legislazioni di almeno tutti i Paesi parte dell’iniziativa BEPS – che ha dato avvio ai lavori nel 2015 – che sono oggi più di 135.
Si attende di conoscere la posizione degli Stati Uniti, Cina e degli altri Paesi del G20, sebbene vi sia la comune volontà di introdurre una tassazione globale.

In particolare, si dovrà trovare un accordo all’interno dell’Unione europea, dove gli standard e gli approcci presentato sensibilità particolarmente diverse a livello di singoli Stati membri, si pensi ad esempio ai Paesi che hanno condizioni di tassazione generalmente più favorevoli (come l’Irlanda, Olanda, Malta, Lussemburgo) e i Paesi che mantengono posizioni più chiuse, quali ad esempio Ungheria, Estonia e Irlanda che non hanno siglato la bozza OCSE.

In relazione all’Unione europea si segnala che l’Unione ha deciso di sospendere le attività rispetto all’introduzione di una Digital tax europea come nuova risorsa propria, proposta inizialmente attesa per il mese di luglio 2021 e attualmente rinviata al prossimo autunno. La Commissione europea ha infatti ritenuto opportuno dare la priorità ai negoziati internazionali.

Infine, occorrerà verificare gli sviluppi a livello di singoli Stati membri con particolare riferimento alle Digital tax nazionali. Paesi come l’Italia, la Spagna e la Francia hanno infatti adottato iniziative unilaterali di tassazione del settore digitale, normative che presumibilmente rimarranno in vigore – anche in Italia – fino a quando non sarà raggiunto l’accordo ed entreranno in vigore le norme sulla tassa globale alle multinazionali.

Si segnala che, secondo uno studio (qui) dell’European Network for Economic and Fiscal Policy Research (rete di 14 Università e centri di ricerca europei, finanziata dal Ministero dell’Economia tedesco), la tassa impatterebbe solamente 78 delle 500 multinazionali più grandi del mondo e, pertanto, si è proposto di ridurre la soglia dei ricavi sulla riallocazione da €20 miliardi a €750 milioni, aumentando l’aliquota minima dal 15% al 25%.

SCARICA IL DOCUMENTO COMPLETO