L’art. 59, lettera c) del Codice del Consumo elimina il diritto di recesso nelle ipotesi in cui il bene venduto sia stato fatto “su misura” o “personalizzato” in base alle scelte del cliente finale.
La ratio della norma è di evitare che un bene prodotto seguendo le specifiche richieste del consumatore, creato ex novo appositamente dietro sua puntuale richiesta, venga poi restituito senza motivo al mittente, mettendo l’azienda in difficoltà per l’impossibilità di rivendere lo stesso a terzi, di rigenerarlo o di trovare un nuovo mercato sul quale collocarlo.
Nonostante il nuovo dettato normativo apparentemente non dia adito a dubbi interpretativi, la definizione e i limiti dell’espressione beni personalizzati è spesso oggetto di incomprensioni e arbitrarie applicazioni da parte dei merchant.
Alcuni professionisti tendono, infatti, a identificare la personalizzazione del prodotto come il semplice modifica del modello standard, poco valendo il fatto che la proposta di intervento sul modello base provenga dal professionista e sia già contemplata da questi come possibile in certi termini.
Ad esempio, vi è chi considera personalizzato quel bene che risulti semplicemente speciale perché frutto di scelte personali (sugli accessori, sul colore, sul materiale) del cliente.
Tale prospettiva, tuttavia, è scorretta.
Sul punto si è più volte espressa l’AGCM, che ha spiegato come la “personalizzazione” sia, in realtà, un concetto molto preciso, non suscettibile di essere variamente inteso.
L’art. 45 del Codice del Consumo definisce chiaramente i beni personalizzati quei prodotti nati seguendo “le indicazioni del consumatore”, non prefabbricati o contemplati come “variante”, ma prodotti in base ad una scelta o decisione individuale, eccezionale, applicata in concreto al bene dal fornitore.
L’adeguamento della merce al gusto personale del cliente non coincide con la “personalizzazione” a meno che il bene, su richiesta del cliente, esso non venga modificato in modo irreversibile ed eccezionale (appunto, “customizzato”).
Tra le più note pronunce, quella che si rifà al provvedimento n. 26820 del 25 ottobre 2017, con la quale l’Autorità ha specificato che le specifiche richieste dal cliente sul colore, materiale ed elementi speciali già previsti in listino dal fornitore, non può essere considerata, per sua natura, una richiesta di produzione customizzata. Affinché lo sia, occorre quella ulteriore specificità della richiesta del consumatore e l’eccezionalità della modifica ordinata, che non sia stata pre-contemplata dal professionista e proposta in una rosa di alternative al cliente finale.